La maggior parte dei comuni, praticamente 1 su 2 applicherà quest’anno l’aliquota massima per l’IMU sui capannoni. A lanciare l’allarme è stata la CGIA di Mestre con il suo comunicato che riproponiamo di seguito.
Quest’anno l’applicazione dell’Imu sugli immobili ad uso produttivo costerà 10 miliardi di euro. Dal monitoraggio eseguito dall’Ufficio studi della CGIA sui principali capoluoghi di provincia, emerge che la metà dei Comuni considerati applica sui capannoni l’aliquota massima, a dimostrazione del fatto che in questi ultimi anni i Sindaci hanno deciso, nella stragrande maggioranza dei casi, di contenere la pressione fiscale sulle abitazioni principali, a scapito, tuttavia, di quella sulle attività produttive.
Al netto delle deduzioni fiscali, gli alberghi saranno le attività economiche maggiormente penalizzate dall’applicazione dell’Imu e della Tasi: infatti, quest’anno pagheranno mediamente quasi 12.000 euro. Seguono le grandi attività commerciali, con poco più di 8.000 euro, e i capannoni delle grandi industrie, con quasi 6.500 euro. Se i capannoni di minori dimensioni subiranno nel 2015 un prelievo medio di 4.000 euro, sugli uffici e sugli studi privati graverà una imposta media di poco superiore ai 2.000 euro. Infine, su negozi e laboratori artigianali l’Imu “peserà” rispettivamente 986 e 759 euro.
Questi i dati offerti dalla CGIA che poi affida alle parole del suo presidente la fotografia del panorama italiano. Dichiara infatti il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo:
“Renzi ha fatto bene ad annunciare l’abolizione, a partire dal 2016, dell’Imu sugli imbullonati grazie a questa misura gli imprenditori risparmieranno circa 250 milioni di euro. Tuttavia, a nostro avviso, sarebbe ancor più necessario diminuire l’Imu a tutte le imprese, anziché abbassare l’Ires. In primo luogo perché la riduzione di quest’ultima imposta avvantaggerebbe soprattutto le grandi imprese, come le attività finanziarie e quelle assicurative. In secondo luogo per il fatto che il taglio dell’Ires interesserebbe pochissime aziende, poco più di 600.000. Questa imposta, infatti, è pagata solo dalla dal 57 per cento delle società di capitali: le altre, in massima parte, non la versano perché presentano costantemente redditi negativi”.