Nel 2013, il valore della crisi per le più importanti banche europee è andato su dal 2011 a 137 miliardi di euro in punti di oneri straordinari (100 mld nel biennio 2011-2012). Per le principali banche americane ha toccato i 63 miliardi di dollari. Sono i dati contenuti nell’edizione 2014 dello studio efettuato da R&S di Mediobanca sulle prime banche internazionali (che per l’Italia sono UniCredit e Intesa Sanpaolo). Nello specifico, il la maggior parte del costo è giunto da svalutazioni in Europa (98 mld euro) e da oneri per contenziosi negli Usa (52 mld dollari). Per quel che riguarda le banche europee, viene descritto nello studio, il peso è stato mitigato da proventi per cessioni e dismissioni pari circa 67 miliardi di euro (per un saldo netto di 70 mld euro), mentre negli Usa le dismissioni hanno portato plusvalenze attorno ai 36 miliardi di dollari (saldo netto di 27 mld (dollari).
> Draghi, Bce, ” La flessibilità non è l’unica strada. Servono le riforme”
Effetto negativo della crisi è stata una grande riduzione degli attivi delle banche (deleveraging) tra il 2011 e il 2013: -12,1% per le banche europee, -9,8% per le americane. Lo snellimento ha pertanto pesato sui livelli occupazionali, con una discesa dell’occupazione che è stata maggiore in Europa (-7,5%) riguardo agli Usa (-1,9%). Nel periodo, l’attivo delle banche europee si è ristretto al 200% del Pil (dal 235% del 2011), quello delle statunitensi al 72% (dall’86% nel 2011). Tra le indiscrezioni che affiorano dallo studio di R&S, nel 2013 le due maggiori banche tedesche (Deutsche Bank e Commerzbank) pesavano sul Pil meno delle due maggiori italiane (UniCredit e Intesa Sanpaolo: 79% contro 94%.