Iran, gli effetti dell’accordo sul nucleare

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L’accordo siglato tra l’Iran e l’Occidente sul nucleare potrebbe invade un mercato del petrolio che appare già saturo, con altro greggio.

I prezzi, secondo gli esperti, potrebbero tornare anche ai livelli visti durante il picco della crisi finanziaria nel 2008/2009, o poco più in basso. Un eventuale accordo allenterebbe infatti le sanzioni imposte a Teheran in cambio di ‘lacci’ al programma nucleare iraniano.

L’Iran, che è membro dell’Opec, è una delle nazioni con le maggiori riserve petrolifere. Prima che i Paesi occidentali applicassero le sazioni contro le sue ambizioni nucleari, esportava quasi 3 milioni di barili al giorno, cifra scesa a 1 milione negli ultimi due anni e mezzo. Per tornare a grandi esportazioni, sarebbe comunque necessario del tempo. “Possono aggiungere circa 200mila barili, che non è un volume significativo”, ha dichiarato Nick Sharma a Reuters, manager director della società di consulenza Ihs, stimando in 18 mesi il periodo necessario perché l’Iran possa aggiungere un altro milione di barili.

Le stime dell’Institute of Energy Economics affiliato al governo giapponese hanno invece reso noto che, in caso di accordo, la produzione di petrolio potrebbe crescere di 700-800mila barili entro la seconda metà del 2016. Secondo le stime, un modesto incremento delle risorse a disposizione si aggiungerebbe comunque all’eccesso di 2,6 milioni di barili di greggio prodotto ogni giorno rispetto alla domanda globale, debole in questa fase di economie fragili. Le sanzioni, messe in campo dal 2012, hanno ridotto l’export di crudo iraniano di almeno un terzo, tagliando le entrate dalla vendita di oro nero a un minimo da nove anni, nel 2014. Le banche d’affari, da Goldman a Barlcays, stimano che dopo l’accordo ci vorranno 6-12 mesi per far risalire la produzione di circa 500mila barili al giorno. Per il ministro iraniano del petrolio, Bijan Namdar Zanganeh, 1 milione di barili in più è un obiettivo raggiungibile in sette mesi.

 

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