Ancora tutta da definire la Riforma sul Lavoro, almeno per quanto concerne i suoi punti nevralgici. Il contratto di lavoro a tutele crescenti è atteso dalle ultime modifiche prima di diventare legge.
Una legge gradita dalle imprese, condivisa inparte dalla Cisl parzialmente condivide, e apertamente contestata a più riprese da Cgil e e Uil.
I margini di manovra, per i sindacati, sono ridotti al lumicino. Il decreto attuativo è in Commissione Lavoro alla Camera e al Senato: entro il 12 febbraio il testo dovrà essere licenziato con un parere consultivo, non vincolante per il governo. Poi, verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale diventando a tutti gli effetti una norma il giorno seguente.
Le norme verranno applicate da subito per tutti gli assunti dal momento dell’entrata in vigore del primo decreto del Jobs Act – dal primo maggio sarà legge, invece, la riforma dei sussidi -, mentre per tutti gli altri non cambia nulla. In sostanza scompaiono le tutele previste dall’articolo 18 nei casi di licenziamento illegittimo per motivi economici, mentre nel caso dei licenziamenti disciplinarI il diritto al reintegro sul posto di lavoro resta solo in relazioni a fatti materiali che non esistono: scompare quindi per il giudice la possibilità di valutare la proporzionalità del provvedimento da parte del datore di lavoro. In tutti i caso la reitegra è sostituita da indennizzi crescenti in relazione all’anzianità lavorativa. In Commissione Lavoro, quindi, i sindacati si giocano le ultime carte, prima di passare ad azioni più forti come l’impugnazione – minacciata da Susanna Camusso – della legge al tribunale di Strasburgo.
La Cisl ha chiesto l’esclusione dei licenziamenti collettivi, a cui vengono espanse le novità. Il motivo? Sono fuori contesto, in confronto alla legge delega. Il segretario confederale, Gigi Petteni, nel corso dell’audizione ha poi suggerito di fare “correzioni” sui licenziamenti individuali, a partire dalla necessità di ripristinare la proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione del licenziamento.