Oggi si parla di pubblicità soltanto in relazione a quel che si osserva in televisione e sotto il profilo economico ci si chiede quanto abbia pagato un determinato brand per veder passare in tv il suo spot durante la trasmissione più quotata del momento. Eppure, riflessioni a parte, il mondo della pubblicità è in crisi.
La crisi si deduce da una serie di eventi che, ad un occhio poco malizioso, non sembrano collegati con questo settore dell’economia. Torniamo con la mente a febbraio 2015 quando sul Corriere della Sera è apparsa una pagina curata da Piero e Paolo Boglia, due piccoli imprenditori piemontesi che hanno deciso di ringraziare pubblicamente Renzi per la legge sulla responsabilità dei magistrati?
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Che c’entra questo con la pubblicità? Il fatto è che se due piccoli imprenditori possono comprare la pagina di un quotidiano nazionale per dare la loro opinione sulla politica, sull’economia, su un altro tema qualsiasi, vuol dire che i prezzi per la soddisfazione di quello che appare anche come un capriccio, sono decisamente ribassati. Oltre a questi due imprenditori, negli ultimi anni, molti cittadini hanno fatto ricorso alla pagina acquistata sui giornali.
Nielsen ha indagato sulla salute del sistema pubblicitario italiano notando che nei primi tre mesi del 2015 c’è stato un calo del 2,1% degli investimenti pubblicitari. Il mercato in questione si è contratto parecchio e non solo per la crisi ma anche per le difficoltà delle concessionarie con lo sfruttamento delle nuove tecnologie.
Il settore pubblicitario è arretrato e non frutta più. I gruppi editoriali, ormai, ricavano dalla pubblicità soltanto il 50% dei loro profitti. Se l’economia si è contratta del 10% dall’inizio della crisi, il mercato della pubblicità ha subito una contrazione del 30%.
Alla crisi e al ritardo dei creativi, secondo gli analisti si aggiunge la complessità del sistema pubblicitario e la poca trasparenza delle trattative. Dal 2010 ad oggi poco è cambiato nella struttura e a livello finanziario la situazione si è aggravata.