Se è vero che gli italiani, per garantirsi il diritto alla salute, ricorrono molto spesso alla sanità privata ed è possibile definire un giro d’affari nel settore pari a 30 miliardi di euro, vuol dire anche che è arrivato il momento di trovare una soluzione. Il Fondo Est che ha esposto il problema, propone una sua ricetta.
Da un comunicato di Confcommercio che aveva già presentato i dati della spesa sanitaria privata.
> Spesa sanitaria privata a quota 30 miliardi
La sanità integrativa in Italia sconta il fatto di essersi sviluppata in modo disorganico anche se lodevole da parte delle parti sociali che l’hanno costituita con senso di responsabilità all’interno dei C.C.N.L. costituendo il welfare contrattuale. L’introduzione del SSN (legge 833/78) corrispondeva all’idea diffusa di creare una risposta complessiva a tutti i cittadini del nostro paese attraverso la creazione di un vero welfare State. Tale obiettivo ha dovuto tenere conto con il trascorrere degli anni, che le sole risorse pubbliche non erano e non sono sufficienti a raggiungere l’obiettivo della piena tutela della salute dei cittadini. Per garantire i LEA “Livelli Essenziali di Assistenza” definiti e contrattati di anno in anno con le parti sociali, si è proceduto a razionalizzare la spesa pubblica e l’organizzazione della stessa contenendo attraverso diversi strumenti i costi organizzativi. Si e inoltre cominciato a dare peso alle iniziative sussidiarie attivate dai diversi soggetti sociali. Ma tutto ciò ancora non basta. La cosiddetta seconda riforma del SSN attuata con i D.lgs. 502/92 e 517/93 non è riuscita a dare un chiaro quadro di riferimento. Dopo l’apertura a fondi integrativi ivi prevista e ancor di più con il D.lgs. 229/99, non è stata incrementata la convenienza economica per i fondi introducendo una limitazione alle agevolazioni fiscali per la cosiddetta “Sanità complementare”, cioè aggiuntiva al livelli essenziali di assistenza. Sulla base di questi presupposti è di tutta evidenza che il modello di welfare collegato alla sanità integrativa in Italia sia un “modello in divenire”.
“Oggi – afferma il presidente di Fondo Est, Simonpaolo Buongiardino – mancano delle linee di indirizzo generale ed obiettivi condivisi di natura politica circa il ruolo che questo paese intende attribuire alla sanità integrativa, al secondo pilastro. Manca una normativa fiscale che sia completa, esaustiva ed organica, in linea con gli indirizzi e le finalità politiche dell’architettura complessiva del modello prescelto. Quello che c’è appare disarticolato, parziale, a volte contradditorio o poco chiaro. E’ necessaria un’attività di relazione e coordinamento tra sanità pubblica ed integrativa, ed in questo senso l’Anagrafe dei Fondi costituisce solo un primo ed incompiuto tentativo. A ben vedere quindi uno scenario nebuloso, incompleto, che richiede una riflessione programmatica da parte delle Istituzioni. Eppure, operazioni di riforma parziale mirate a ridurre le contraddizioni, ad intervenire su singole aree, ad agevolare fiscalmente i Fondi non potrebbero da sole garantire una reale, efficace e solida edificazione di questo secondo pilastro. Ecco quindi che il primo passo da compiersi è quello di aprire un dibattito politico sul modello in quanto tale, ossia se in questo paese si intenda o meno attribuire un ruolo di rilievo alla sanità integrativa; bisognerebbe far chiarezza sugli obiettivi finali, sul punto di arrivo, sul futuro modello di sanità che questo paese intende adottare: una scelta coraggiosa, una scelta impegnativa, ma anche una scelta imprescindibile”.