Molti di loro hanno preso 110 e lode, ma non se ne fanno nulla. Se gli va bene lavorano come camerieri o in una ditta di pulizie. E lo fanno senza batter ciglio. Lo conferma un’indagine effettuata intervistando 9.000 under trenta. La crisi continua a pesare moltissimo qualità della vita dei ragazzi che, a livello europeo, vedono compromesse le loro prospettive per un futuro autosufficiente dalle famiglie, vero ammortizzatore sociale di questo Stato.
Lasciano la casa dei genitori e mettono su famiglia più tardi degli altri.
Tra gli intervistati, un giovane su quattro ormai si accontenterebbe anche un impiego ben lontano dal lavoro desiderato. E al Sud il rapporto sale ad uno su tre.
Il problema, però, è arrivare a fine mese contenti. A volte il problema è arrivarci con qualcosa da mangiare in frigo.
In altri termini, tra stage sottopagati – che a differenza del nome diventano un vero e proprio lavoro – e impieghi di fortuna, il principale motivo di frustrazione che emerge dal rapporto è legato alla retribuzione, inadeguata per il 47% degli intervistati.
Una consolazione c’è. Per fronteggiare la difficile situazione, i laureati disoccupati le provano tutte e spesso decidono di mettersi in proprio rischiando e costruendosi il futuro. Ce la faranno? Si, perché posseggono uno spiccato senso dell’imprenditoria.