Nuovi spiragli nel campo dei diritti dei lavoratori: una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che il lavoratore che, sul posto di lavoro, sia stato vittima di vessazioni e di comportamenti mortificanti ha diritto al risarcimento anche se non sussistono le condizioni di mobbing.
La sentenza n.18927 della Corte di Cassazione è stata depositata questa mattina e nasce dal caso di una donna, impiegata in una farmacia, che ha tentato il suicidio a causa dell’atteggiamento di colleghi e datore di lavoro. La donna, costretta al pensionamento anticipato a causa dell’insostenibilità delle condizioni sul posto di lavoro, secondo i giudici della Corte Suprema ha diritto al risarcimento dei danni subiti anche se non possono essere ascrivibili al mobbing, ma lo siano
alla responsabilità del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne, ovviamente nei soli limiti dei danni a lui imputabili.
La donna, che secondo la Corte di Napoli che ha esaminato il caso, non aveva diritto a nessun rimborso, ora avrà la possibilità di un riesame del suo caso in base alla sentenza della Corte Suprema che si appella non tanto ai singoli comportamenti vessatori o umilianti, ma a tutte le condotte che risultino lesive dei diritti fondamentali del lavoratore, che sono tutelati dalla Costituzione.