Tra i tanti giovani disoccupati italiani ce n’è una grande percentuale che in tasca ha anche un titolo di studio universitario. Laureati di ogni disciplina che si trovano senza un’occupazione pur avendo investito anni della loro vita per una formazione di alto livello. Non stupisce, quindi, che siano in molti a chiedersi se valga ancora la pena fare questo investimento per il futuro.
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Partendo dal presupposto che lo studio non è mai una perdita di tempo, va detto che le università italiane sono poco concorrenziali nel tipo di formazione che offrono ai loro studenti che si trovano, sempre più spesso, ad essere preferiti a coloro che, pur non avendo un titolo di studio universitario, hanno già fatto esperienze di lavoro o comunque hanno affrontato un percorso di formazione sul campo.
Per il nuovo anno accademico le cose stanno già cambiando e sono molti gli atenei che stanno sperimentando – come prevede la riforma Gelmini 240/2010 – la suddivisione in dipartimenti e non più in facoltà e che si stanno adeguando all’internazionalizzazione così come voluta dall’ex ministro dell’istruzione che prevede la possibilità per gli studenti di conseguire un double degree o un titolo congiunto mediante accordi con più di 52 università straniere.
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Quello che si può consigliare a chi sta per iniziare l’università è di abbinare agli studi un percorso di formazione e, per avere una maggiore sicurezza di poter trovare un lavoro una volta finiti gli studi, di orientarsi in percorsi di studi attinenti all’area economico-giuridica, magari scegliendo i nuovi corsi più specifici come management e governance, all’area scientifica, cercando però di orientarsi verso corsi dedicati allo sviluppo di settori emergenti come l’ambiente e l’energia.