E’ partita ieri per concludersi il 28 di maggio l’offerta globale destinata allo sbarco in Borsa di Massimo Zanetti Beverage Group, la società del caffè Zanetti nota soprattutto per il marchio Segafredo.
L’offerta è mista attraverso un incremento di capitale (6,3 milioni di azioni) e vendita di titoli (4,7 milioni) in mano alla famiglia Zanetti.
La capitalizzazione di Borsa è attesa tra un minimo di quasi 400 milioni e un massimo che supera il mezzo miliardo di euro (540 milioni), corrispondente a un intervallo di prezzo tra 11,6 e 15,75 euro (sul prezzo definitivo si alzerà il velo giovedì 28 maggio). Sul mercato andrà un flottante del 35,6%, mentre alla famiglia Zanetti, che ad oggi detiene il 100% della società, resterà il 64,4 per cento. “Oggi facciamo la storia del caffè, il caffè italiano va in Borsa”, ha dichiarato Massimo Zanetti, presidente e amministratore delegato dell’omonimo gruppo. “Spero di essere un apripista, tutta la mia vita l’ho giocata per arrivare a questa giornata”, ha spiegato con orgoglio Zanetti, esponente della terza generazione di una famiglia di commercianti di caffè.
Solo una minima parte dei proventi della quotazione servirà a supportare la crescita: “in via prioritaria” la quota in aumento di capitale sarà destinata ad abbattere il debito nei confronti di Banca Intesa Sanpaolo (Banca Imi tra l’altro è coordinatore dell’offerta), mentre la quota restante verrà venduta dalla famiglia Zanetti.
L’imprenditore ha escluso l’acquisizione del brand francese Carte Noire, di cui l’antitrust europeo ha imposto la vendita a seguito dell’aggregazione tra i gruppi Master Blender e Mondelez. “Non ci interessa Carte Noire come gli altri marchi che dovranno essere ceduti” spiega Zanetti, che invece prevede un recupero della proprio quota negli Stati Uniti “perché stiamo rilanciando le capsule”. Su una eventuale fusione con altre società italiane, Zanetti ha detto: “Ci avevamo pensato in passato con Lavazza. Il problema – ha sottolineato – è che nelle fusioni due più due non fa quattro, ma tre. Con il mondo della distribuzione, infatti, si riduce il potere contrattuale se abbiamo tanti marchi”.