Le economie dei Paesi più sviluppati sono meno resistenti alle scosse dei mercati emergenti di quanto non fossero nel 1990, quando le crisi in Thailandia e in Russia hanno scosso gli investitori senza innescare una recessione globale.
Questi dati si riferiscono a uno studio con un report di 81 pagine pubblicato il 5 marzo dagli economisti di Morgan Stanley. Si stima un crollo in stile 1990 della domanda dei mercati emergenti che creerebbe una resistenza media dell’1,4% per i quattro trimestri sulla crescita degli Stati Uniti, mentre l’area dell’euro e il Giappone probabilmente saranno in recessione.
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I motivi della maggiore vulnerabilità includono il fatto che i mercati in via di sviluppo, e in particolare la Cina, hanno ora un impatto più forte sulla economia del mondo per gli approvvigionamento e il commercio. Le economie emergenti rappresentano circa la metà del prodotto interno lordo globale rispetto al 37% del 1997-1998.
Le economie sviluppate sono anche più esposte alle loro controparti più piccole per le esportazioni, le entrate societarie e bancarie e ciè significa che sono più deboli di oltre due decenni fa.
La Federal Reserve e la Banca del Giappone probabilmente risponderebbero con l’allentamento della politica monetaria, abbassando i prezzi delle materie prime e di conseguenza dei rendimenti obbligazionari. Ciò aiuta a rilanciare la crescita , anche se la ripresa sarebbe debole.
Lo studio si basa su uno scenario in cui le importazioni dai mercati emergenti sono in caduta del 15% per due trimestri, le condizioni finanziarie si deteriorano come negli anni 1990 e i prezzi delle materie prime declinano con il costo del petrolio a circa 80 dollari al barile.
I mercati azionari europei sarebbero i più penalizzati visto che le aziende hanno derivato dal 65% all’80% della loro crescita del fatturato proveniente dai mercati emergenti negli ultimi anni.