L’amministrazione finanziaria, periodicamente, effettua un controllo sulle spese che i consulenti scaricano sull’IVA e che dichiarano essere congruenti con la loro attività di consulenza. Nel caso in cui la detrazione di una fattura sia negata dall’Erario, il consulente deve dimostrare il contrario.
► Aliquote, versamento e certificazione delle ritenute d’acconto
Il concetto è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 6203 del 12 marzo scorso. In realtà il principio chiamato in causa è sempre lo stesso: la fattura per un’attività di consulenza può essere ritenuta falsa se il contribuente non riesce a produrre la documentazione necessaria provare il contrario.
► L’Erario spiega per chi si paga la ritenuta d’acconto
Se il contribuente, per esempio, porta come giustificazione di una detrazione della fattura soltanto la fattura della consulenza effettuata, ma non dimostra con un documento preciso che c’è un contratto scritto, vuol dire che la documentazione è imprecisa e l’Erario può chiedere un rimborso all’azienda.
► L’Erario anche sui conti correnti
Tutta la vicenda chiarisce anche a chi spetta l’onere della prova. Nel caso del processo tributario, spetta all’attore del processo, quindi al contribuente contrassegnato come “evasore”. Se l’Amministrazione finanziaria contesta una fattura o meglio la detrazione indebita della stessa, è il contribuente a dover provare che ci sono dei documenti che giustificano il diritto alla detrazione. Nel caso preso in esame per giustificare la detrazione, sarebbe stato necessario un contratto scritto.