A partire da giovedì scorso, 7 novembre, il costo del denaro è stato portato ad un suo nuovo minimo storico, pari allo 0,25%, per volontà della Banca Centrale Europea, BCE, che ha ancora una volta tagliato i tassi di interesse per andare incontro all’economia europea nella morsa del credit crunch e della recessione.
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La politica accomodante di Mario Draghi e del board direttivo dell’Istituto di Francoforte vuole infatti innescare almeno due fenomeni all’interno dell’Europa. Da una parte un nuovo taglio dei tassi di interesse dovrebbe spingere le banche a concedere maggiore liquidità alle imprese che ne fanno richiesta e dunque a ridare un po’ di ossigeno all’intera economia.
Dall’altro lato, invece, un taglio radicale del costo del denaro dovrebbe contribuire ad offrire vantaggi soprattutto alle economie più deboli del Vecchio Continente, che potrebbero diventare più competitive sotto il profilo dell’export. Una tale situazione però innescherebbe al tempo stesso una sorta di guerra delle valute tra le nazioni.
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Secondo alcuni analisti, tuttavia, alla politica di Draghi è possibile muovere almeno due obiezioni. Da una parte, infatti, i dati reali mostrano che le politiche accomodanti non sono servite fino adesso ad allentare di molto la morsa del credit crunch, e potrebbero parimenti non servire in previsione di quell’opera di revisione dei conti bancari che la stessa BCE si appresta a portare avanti nel 2014.
In secondo luogo, non bisogna dimenticare che nell’Europa a due o a tre velocità il taglio dei tassi di interesse provoca la cosiddetta frammentazione, con effetti diversi nei vari paesi e potrebbe indurre le banche ad innalzare i tassi di interesse praticati.