Mps controllata all’82% del Tesoro. E’ questo il destino dell’istituto senese (almeno ai prezzi attuali) se non rimborserà i 3,9 miliardi di Monti-bond. Il panorama di quella che si configurerebbe a tutti gli effetti come una nazionalizzazione per il Monte si evince dall’intervento del ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, alle Commissioni riunite di Camera e Senato. Senza contare che «il Tesoro potrà entrare progressivamente nel capitale anche solo se la banca non sarà in grado di pagare gli interessi». Un conto salato che Siena può saldare anche in azioni, infatti.
Per ora si tratta solo di un’ipotesi, visto che il presidente dell’istituto, Alessandro Profumo, conta di onorare gli impegni del Tesoro. Ma le indagini sono ancora in corso e, se il Monte andrà in affanno, lo schema è segnato: i Monti bond possono condurre Siena dritto alla nazionalizzazione.
Tuttavia, un chiarimento è d’obbligo per il ministro: la logica dei Monti bond, nati prima delle attuali inchieste, era ed è tutt’ora per Grilli quella di «rafforzare il capitale» (portare il coefficiente patrimoniale al 9%, secondo le indicazioni dell’Eba), «aumentare un buffer preventivo su una banca solida (a differenza dei Tremonti-bond che avevano un obiettivo «correttivo»: quello di ridare liquidità alle banche), di «mettere al sicuro il risparmio». Tutto tranne che la logica di «salvare» Mps. Perchè l’istituto senese, ribadisce e insiste il ministro, «è solido».