Il recupero dell’occupazione di aprile è stato ovviamente un segnale accolto in maniera estremamente positiva dal mondo politico ed economico, tuttavia l’analisi di alcuni aspetti del mercato del lavoro italiano testimonia che la strada per il recupero è ancora lunga.
In Italia, infatti, ci sono oltre 3,5 milioni di persone che, pur essendo disponibili a lavorare, non cercano impiego, quasi 2 milioni dei quali perché scoraggiati. E’ quanto emerge dalle tabelle Istat sul primo trimestre 2015, secondo le quali ci sono ancora 3,3 milioni di disoccupati. Nel complesso le persone senza occupazione ma disponibili sono quasi 7 milioni.
Se infatti nel primo trimestre sono aumentati gli occupati (133.000 in più rispetto al primo trimestre 2014) sono cresciute anche le forze di lavoro “potenziali”, ovvero le persone formalmente inattive ma pronte a uscire dall’inattività, e in particolare tra queste coloro che si dichiarano disponibili a lavorare pur non cercando impiego (da 3,25 milioni del primo trimestre 2014 a 3,55 del primo trimestre 2015 con una crescita di 300.000 unità).
Il picco è nel Mezzogiorno con 2,280 milioni di “sfiduciati”, in crescita di circa 200.000 unità sullo stesso periodo dell’anno precedente. A queste persone nel Sud si aggiungono 1,5 milioni di disoccupati (in calo di circa 100.000 unità su un anno prima). Oltre 3 milioni, su 7 di coloro che sono senza lavoro pur essendo disponibili a lavorare, sono persone con meno di 35 anni. Sono, infatti, in questa fascia di età (15-34 anni) 1.663.000 disoccupati e 1.347.000 tra coloro che si dicono disponibili a un impiego ma non hanno fatto azioni di ricerca attiva nelle settimane precedenti la rilevazione.
I dati riportati dall’Ansa fanno il paio con gli altri che riguardano la comparazione europea. In Italia meno di due persone su tre, tra i 15 e i 64 anni, sono nel mercato del lavoro (tra lavoratori e coloro che cercano), il livello più basso in Europa. Si evince ancora dalle tabelle Istat sulle percentuali di attività in Ue, secondo le quali l’Italia ha fatto passi avanti in questi ultimi 10 anni inferiori alla media e resta con il 63,9% quasi 10 punti al di sotto della media Ue-28 (72,3%). La responsabilità è soprattutto del basso tasso di attività femminile (54,4%), di oltre 12 punti inferiore alla media Ue e di circa 25 punti rispetto alla Svezia (79,3%).