L’Ocse ha stilato un piano per regolamentare il sistema fiscale internazionale, che in maniera eccessiva è stato «dribblato» dalle grandi multinazionali dell’hi-tech. L’Ocse ha pubblicato le raccomandazioni del progetto di azione redatto su mandato del G20, norme che saranno un principio fondamentale del vertice che si terrà in Australia il 20 e 21 settembre. È, dice Angel Gurria, il segretario generale dell’Ocse di un «pacchetto storico», che tocca temi delicati come la fiscalità per l’economia digitale, il monitoraggio «Paese per Paese» di attività e utili delle multinazionali, la lotta ai «trasferimenti fittizi di beni immateriali» e dell’ uso illegittimo dei trattati e degli strumenti ibridi per scampare agli obblighi. «Siamo a metà strada. Stiamo presentando sette punti, ne presenteremo altri otto nel 2015. Ma stiamo avanzando. Alcuni avevano dubbi, ma è così», dice il direttore della divisione Politiche e amministrazione fiscale dell’Ocse, Pascal Saint-Amans, garantendo che «ciò che si è deciso avrà un impatto immediato», poiché «le imprese si trovano di fronte alla cruda realtà, e dovranno anticiparla e adattarsi».
Non sarà facile, anche se dai colossi della tecnologia giungono aperture rilevanti: «Da tempo abbiamo espresso il nostro supporto a che i governi rendano il sistema fiscale internazionale più chiaro e più semplice. Naturalmente rispetteremo qualsiasi nuova norma su cui i governi si accordino», dice un portavoce di Google. Nello specifico, quando i nuovi sistemi verranno formulati in legislazioni nazionali, non si potrà più accumulare liquidità in una filiale di un gruppo multinazionale posta in un Paese con tassazione ridotta sulle riserve di capitale, né «vendere» con una transazione interna un bene intangibile (per esempio un marchio, un brevetto, un algoritmo web) predisposto da una filiale in un Paese avanzato a un’altra filiale che ha dimora in stati con forti sgravi.