Continua in maniera costante l’iter relativo alla riforma della Pubblica amministrazione che in primavera ha avuto il via libera, in prima lettura, al Senato.
Quello della Pubblica Amministrazione è un universo di cui si discute molto. Le modifiche in atto e in potenza sono molteplici, e spesso sono funzionali al miglioramento di un comparto che è al centro dell’economia italiana. Un comparto, forse, stantio e governato da leggi obsolete che è il caso di rivedere. Quello che spesso salta agli occhi è il fattore salariale: stipendi troppo alti e poca possibilità di sostituire i vertici.
Per tale ragione, adesso nel mirino c’è la licenziabilità dei dirigenti pubblici e le procedure di assunzione attraverso i concorsi: entrambe le procedure sono state modificate da due due emendamenti.
Quali sono le novità? I dirigenti pubblici potranno essere licenziati se privi di incarico per un certo periodo ma non basta, l’uscita dal ruolo scatta solo se prima c’è stata una sostanziale “bocciatura” da parte dell’amministrazione. E’ quando si legge nell’emendamento al ddl P.a, approvato, che prevede il collocamento in disponibilità “successivo a valutazione negativa”. Tuttavia, mancano ancora i dettagli per quando riguarda chi dovrebbe giudicare i dirigenti pubblici.
Menzione a parte per la prassi di inserimento nella Pa. Nei concorsi pubblici a fare la differenza non sarà più solo il voto di laurea, ma potrà contare anche l’università. L’emendamento approvato parla di “superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso” e “possibilità di valutarlo in rapporto ai fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato”. Anche in questo caso, però, non ci sono nè le classifiche delle università, ne i criteri con i quali gli atenei verranno valutati.