Dal prossimo mese di marzo le lavoratrici autonome non potranno più andare in pensione a 58 anni, con 35 di contributi, ricevendo un assegno decurtato per l’applicazione del calcolo contributivo.
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Poi da settembre la stessa cosa sarà valida anche per le dipendenti, che avrebbero potuto scegliere la stessa uscita a 57 anni. Lo scorso novembre la commissione Lavoro del Senato ha approvato una risoluzione che fa sì che il governo debba rivedere la situazione, soprattutto con la modifica della circolare dell’Inps che anticipa i tempi rispetto all’originaria scadenza di fine 2015.
Il tutto risale al 2004, quando nella riforma previdenziale Maroni-Tremonti è stata inserita un’opzione particolare riservata alle donne. Per queste sarebbe stato possibile, in via sperimentale fino al 2015, sfruttare ancora i requisiti per la pensione di anzianità che venivano cancellati (57 anni di età e 35 di contributi, con un anno in più di età per le lavoratrici autonome); a condizione di scegliere per il calcolo dell’intero trattamento previdenziale con il sistema di calcolo contributivo.
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Meno soldi ma la possibilità di andare in pensione prima. La riduzione è rilevante, almeno del 15-20% (anche se varia caso per caso), ma molte la accettano pur di lasciare il lavoro prima. Il vantaggio si ingrandisce poi a partire dal 2012, con la riforma Fornero che stringe le maglie della pensione di vecchiaia e di quella anticipata, e l’opzione contributiva permette di lasciare sei-sette anni prima.
Per usare l’opzione, le lavoratrici autonome devono aver compiuto l’età di 58 anni e raggiunto i 35 anni di contributi entro febbraio 2014, calcolando poi i tre mesi aggiuntivi e l’anno e mezzo di finestra, mentre per le dipendenti devono aver raggiunto l’età entro agosto, ed entro settembre per le pubbliche. Situazione che potrebbe cambiare se il governo approvasse la richiesta della commissione Lavoro.