Solo di poche ore fa è la notizia secondo cui l’ Italia rischierebbe di perdere diversi miliardi di euro dei suoi conti pubblici a causa di una falla originatasi attraverso i derivati originati negli anni ’90.
> Un buco da 8 miliardi nei conti pubblici italiani?
L’ entità della perdita ammonterebbe infatti a circa 8,1 miliardi di euro e sarebbe stata originata dalla ristrutturazione, avvenuta nel 2012, di quei prodotti finanziari derivati, stipulati a partire dal 1999, che l’ Italia si è trovata a rinegoziare proprio in contemporanea con il momento culminante della crisi economica che ha investito la zona euro.
Gli esperti del quotidiano economico britannico Financial Times sostengono infatti che il Ministero dell’ Economia e delle Finanze, a corto di liquidità, abbia nel 2012 rinegoziato i contratti di tali derivati a condizioni poco vantaggiose, al fine di poterne estendere i pagamenti alle banche per un periodo più lungo.
L’ origine della potenziale perdita sui derivati, dunque, sembra doversi rintracciare proprio nelle politiche finanziarie attuate dallo Stato italiano tra il 1998 e il 1999, quando il Ministero del Tesoro, pur di soddisfare gli obiettivi di deficit imposti dall’ Unione Europea e di entrare a far parte dei primi 11 Paesi della moneta unica, riceveva pagamenti anticipati dalle banche per saldare il proprio debito nel minor tempo possibile.
Sull’ intera vicenda dei derivati originati in quel periodo non si è ancora fatta sufficiente chiarezza, ma quel report di sole 29 pagine che è stato posto recentemente all’ attenzione della Corte dei Conti e che fa luce sullo stato finanziario del Paese ai tempi dell’ introduzione dell’ euro in Italia, sembra rilevare proprio l’esistenza di una serie di contratti stipulati con banche estere per prodotti derivati.
> Swap
E l’ intero giro di affari che l’ Italia, pur fortemente indebitata nel 1999, si sarebbe trovata a sostenere sembra ammontare all’ importante cifra di 31,7 miliardi di euro, di cui 8,1 miliardi rappresenterebbero oggi la potenziale perdita. Una percentuale davvero alta, fanno notare gli esperti, in relazione a valore nominale di titoli di questo tipo.
E un ulteriore indizio della fatidica “corsa” italiana all’ Euro, con tutti i risvolti finanziari che pare aver comportato, sembra potersi rintracciare proprio nei dati relativi al deficit italiano degli anni ’90.
Nel 1995, infatti, il deficit italiano era pari al 7,7% del PIL nazionale, ma già nel 1998, anno in cui in Europa si valutava l’ eventuale entrata dell’ Italia nella moneta unica, il debito italiano era stato ridotto al 2,7%. Un salto veramente importante, se si considera che in quello stesso periodo entrate fiscali e spese statali non subirono variazioni considerevoli.