Il vice ministro Antonio Catricalà, ha annunciato che «La quotazione di Poste Italiane in Borsa è plausibile entro l’anno», precisando che «sarà privatizzato il 30-40% del gruppo e la maggioranza resterà allo Stato.
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Spetterà al Mef decidere come ripartire le quote». Poste, ha però specificato Catricalà, è un «asset importantissimo di cui lo Stato non perderà assolutamente il controllo». Di sicuro, sostiene Catricalà, nessuno spezzatino. «Così – ha continuato – rimane l’azienda nella sua interezza, con il controllo completo dello Stato, solo che una quota viene privatizzata. E questo consentirà di iniziare quel percorso virtuoso di cui ha parlato il presidente Letta, per la riduzione del debito pubblico».
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In merito all’ipotesi di coinvolgimento dei dipendenti nell’azionariato, per il viceministro «è molto opportuna anche perché è un’ipotesi ben vista anche dai sindacati. Si tratta – ha precisato – di consentire anche a un fondo di dare ai dipendenti una quotazione, una parte dell’azienda». Il prezzo potrebbe aggirarsi intorno ai 4 miliardi, dal momento che alcune stime antecedenti avevano valutato il 100% di Poste in oltre 10 miliardi di euro. La soluzione di cedere quote di minoranze soddisfa Massimo Sarmi, che è stato sempre contrario a possibili spezzatini: in passato erano girate le ipotesi di cedere Poste Vita e Banco Posta.
Dal punto di vista finanziario, anche per merito della cura Sarmi, l’azienda è solida e sana: 5,65 miliardi di euro di patrimonio netto, di cui 2,53 di disponibilità liquida. L’utile consolidato del 2012 ha superato il miliardo di euro.