Il rapporto del Centro studi di Confindustria parla della crisi e utilizza termini molto pesanti. Nel rapporto dell’associazione degli industriali si legge “L’Italia si presenta alle porte del 2014 con pesanti danni, commisurabili solo con quelli di una guerra”. Dopo una guerra di solito c’è la ripresa e un probabile boom economico, ma Confindustria non sembra ottimista visto che nel rapporto si legge “L’uso del termine ripresa per descrivere il probabile aumento dell’attività produttiva e della domanda interna nel prossimo biennio è per molti versi improprio. Sul piano politico e sociale è derisorio nei confronti di quanti, imprenditori e lavoratori, a lungo resteranno in difficoltà”. Il Centro Studi di Confindustria afferma che “La profonda recessione dell’economia italiana, la seconda in sei anni, e’ finita, ma i suoi effetti no”.
Da Viale dell’Agricoltura, quindi, non si prevedono miglioramenti decisi dell’economia a breve termine e si dice: “Il percorso di risalita sarà lento e difficile: la ridotta capacità produttiva, intaccata dalla prolungata della domanda interna, rappresenterà una zavorra nella fase di ripartenza. Il Pil potrebbe tornare positivo a partire dal trimestre finale del 2013, tuttavia esistono rischi al ribasso, tanto che viene presentato uno scenario alternativo, più pessimistico e non ipotetico, nel quale la risalita del Pil si interrompe già nel 2015 e il peso del debito pubblico e’ più elevato”.
Confindustria rileva come l’Italia è arretrata di molto a livello economico e come la situazione sociale è peggiorata rispetto a qualche anno fa. Le previsioni parlano di un Pil negativo quest’anno a -1,8% e di una ripresa il prossimo anno al +0,7% e nel 2015 a +1,2%.
Per migliorare l’economia è accelerare il ritmo di crescita sono utili le riforme, che possono far crescere di un punto il Pil, per Confindustria. Nel 2014 è previsto che si fermi l’aumento del tasso di disoccupazione.
Per quanto concerne il debito pubblico, Confindustria afferma: “Il debito pubblico, al netto dei sostegni europei e in rapporto al Pil, sale ancora nel 2014 (al 129,8%) per poi iniziare a flettere nel 2015 (128,2%). Una flessione tutta dovuta a un punto di privatizzazioni e dimissioni omogeneamente distribuiti.