Attualmente, la buona notizia è che i numeri dell’economia italiana hanno smesso di scendere: qualcosa che assomigli a un rimbalzo serio verso l’alto è ancora distante dall’apparire all’orizzonte.
Tuttavia tanto è servito per rendere gli italiani meno pessimisti: se un anno fa i soddisfatti della propria qualità della vita (perché la considerano inalterata o addirittura migliorata) erano il 41%, ora sono saliti al 52%.
E’ il giudizio generale che viene fuori dall’annuale Rapporto Coop, dove si misura non solo il “sentimento” della situazione economica ma si dà la misura di come stiano cambiando usi e – soprattutto – consumi nel nostro Paese. Il dato certo è che con la crisi l’italiano ha modificato i propri comportamenti, ha imparato (in parte) a non sprecare, a cibarsi diversamente, a sfruttare i vari modi per spendere cercando di risparmiare (dagli acquisti in rete alle vendite di seconda mano). Ma, allo steso tempo, sette anni di recessione hanno acuito le differenze e le contraddizioni insite della nazione. Due casi su tutti. Il divario tra Sud e Nord è cresciuto, visto che la spesa media nelle regioni meridionali è di almeno mille euro inferiore rispetto al Settentrione (considerando però che la vita al Sud è meno cara). Sale la forbice generazionale: gli under 35 spendono 100 euro in meno al mese degli over 65. Del resto, metà della popolazione vive con meno di 2mila euro al mese e il 20% delle famiglie detiene il 38% della ricchezza nazionale.
Tra il 2008 e il 2015 le famiglie italiane hanno perso potere d’acquisto per 122 miliardi, 75 dei quali in riduzione del consumi e 47 in taglio dei risparmi.