L’obiettivo è quello di salvare il lavoro nel Canton Ticino. Con questo motto, i Verdi del Cantone italofono svizzero hanno fatto passare in referendum il principio di un salario minimo di poco più di tre mila euro netti mensili, da inserire nella Costituzione.
Non si tratta, beninteso, del reddito di cittadinanza bensì della soglia salariale al di sotto della quale un lavoratore non può andare.
A favore ha votato il 54,7 per cento degli elettori che si sono recati alle urne. Il risultato è il segnale di una chiara rivolta di molti ticinesi contro il dumping salariale, praticato dalle aziende estere, in prevalenza italiane, che si insediano nel loro Cantone, assumendo lavoratori frontalieri. Il cui numero, ormai, ha sperato le 61 mila unita’. “Rischiamo di diventare la Cina della Svizzera”, spiega sconsolato il deputato Sergio Savoia, coordinatore dei Verdi e promotore dell’iniziativa a favore del salario minimo.
Lei dice la Cina della Svizzera. Ci faccia un esempio. “Guardi, le cito il settore farmaceutico. A Zurigo e Basilea lo stipendio medio e’ di 10 mila franchi al mese, in Ticino siamo sui cinque mila”. È questo come lo spiega? “Con il fatto che, grazie all’assunzione di frontalieri, le retribuzioni, nel mio Cantone, si stanno sempre più allineando alla media lombarda”.
Con la vostra iniziativa per un salario minimo così elevato, almeno se visto con occhi italiani, non temete che molti imprenditori, insediatisi in Svizzera dalla penisola, finiscano per tornare da dove sono venuti? “Può darsi che qualcuno se ne vada ma, se dovesse farlo per questo motivo, non sarebbe una gran perdita”. “A mio avviso – aggiunge Savoia – la maggior parte rimarrà perché abbiamo altri atout, quali la pressione fiscale sulle aziende bassa, la burocrazia svelta ed efficiente ed il costo dei lavoratori, per le imprese, decisamente inferiore, rispetto all’Italia”.