Passa alla storia come una rivoluzione e, per quanto si sta verificando sul mercato dell’energia, il termine non è per nulla edulcorato. Basta osservare quanto hanno appena annunciato, a distanza di poche ore, due giganti del settore europeo.
La francese Areva, reduce da due bilanci in profondo rosso, ha annunciato che taglierà tra i 5 e i 6mila posti di lavoro, di cui 3-4mila nella sola Francia. Lo stesso faranno i tedeschi di Siemens, i cui vertici hanno dichiarato un piano di riduzione di personale per 4.500 dipendenti, di cui oltre 2mila in Germania, i quali si devono aggiungere al piano di ridimensionamento per 7.400 posti avviato soltanto un anno fa.
Una sorta di tsunami occupazionale che sta colpendo tutte le attività per la produzione di energia, in particolare quelle società che non hanno saputo affrontare per tempo i cambiamenti in atto, a partire dal successo delle rinnovabili. La crescita di fotovoltaico ed eolico, prima sostenuta dagli incentivi statali e poi dal progresso tecnologico, ha immesso sul mercato ingenti quantità di energia “a costo zero”. Energia che, nella maggior parte dei casi, gode della priorità di dispacciamento, nel senso che viene immessa nelle reti prima dell’energia prodotta dalle fonti tradizionali. Secondo gli ultimi dati disponibile, nel 2014 c’è stato in Europa il sorpasso – per la prima volta – della produzione di energia da fonti “verdi” rispetto al nucleare.
A questo fenomeno, ormai irreversibile a detta degli esperti, bisogna aggiungerne almeno altri due: la riduzione della domanda di energia, dovuta in parte alla recessione e in parte a una migliore efficenza degli impianti e delle politiche “ambientaliste” nella riduzione dei consumi. Tutto questo ha portato, da almeno tre anni, alla chiusura di decine di impianti “tradizionali” in tutto il Vecchio Continente. Il che ha avuto inevitabili conseguenze sul piano occupazionale.