Il crollo del rublo sembra non arrestarsi. Prova ne è che due giorni fa la Banca di Russia ha dovuto effettuare il quarto intervento di ottobre per frenare la caduta libera della moneta, versando 442 milioni di euro e portando a 1,85 miliardi la spesa del mese. A ciò occorre aggiungere i 40 miliardi già spesi dalla primavera ad oggi.
Nel contempo, Elvira Nabiullina, ha alzato l’asticella della banda di oscillazione della valuta a fronte del paniere EUR-USD a 44,85. Il nuovo limite, dunque, supera di 20 kopeks quello del giorno prima.
Stando alle linee-guida erogate dall’istituto, prima di alzare il limite superiore della banda di 5 kopeks, vengono ceduti dollari per un totale di 350 milioni. Pertanto, un aumento di ben 20 kopeks significa che la banca centrale russa sarebbe intervenuta ieri per 1,4 miliardi di dollari. E per la prima volta, il rublo ha chiuso ieri a un tasso di cambio di 40 contro il dollaro.
Tuttavia, gli esperti ritengono che il supporto della Banca di Russia non servirà a frenare il tracollo del rublo, il quale avverrà gradualmente anche nel prossimo futuro.
Ma da cosa deriva la crisi del Rublo? La valuta del Paese soffre principalmente per due motivi:
– Fuga dei capitali alla Russia: il deflusso è causato dalle tensioni geopolitiche tra la Capitale russa e l’Occidente a seguito dell’intervento con il quale le truppe russe hanno occupato la Crimea su ordine di Putin;
– Calo delle quotazioni del petrolio: il prezzo del greggio è attualmente di novanta dollari al barile.
L’unica consolazione sta nel fatto che l’ancora di salvataggio rappresentata dalle riserve valutarie è ancora stabile in quanto esse sono molto alte: dopo Cina e Giappone, anzi, sono le più alte al mondo e sono pari a 457 miliardi di dollari. Quest’anno sono calate di 55 miliardi e il timore è che possano calare ancora dato che le imprese russe nel prossimo trimestre dovranno onorare le scadenze sui debiti in valuta straniera.
La russia è dunque a rischio default? No, secondo gli esperti. Ma l’economia è a rischio stagflazione. Così gli esperti:
A fronte di una crescita stimata dal Fondo Monetario Internazionale allo 0,2% per quest’anno, l’inflazione è salita all’8%, per effetto del deprezzamento del rublo, che rende più costosi i beni importati. Se il prezzo del petrolio dovesse scendere ulteriormente, Putin potrebbe essere costretto a indietreggiare per il timore di una crisi fiscale e finanziaria. Dalla vendita di greggio e gas, infatti, deriva il 46% delle entrate, mentre le sanzioni imposte da USA e UE a banche e società russe limitano la capacità di accesso al credito dell’economia del paese.