Gli Usa non sono più la ‘Terra promessa’, quel fantastico luogo ricco di opportunità che un tempo abitava sull’altra sponda dell’Atlantico.
Al giorno d’oggi chi parte per cercare un nuova occasione, un nuovo lavoro e una maggiore giustizia sociale non guarda più all’America. Rivolge i suoi sogni più nord migrando verso la Finlandia o verso la Norvegia, oppure si insedia al caldo dell’Australia. Ormai negli Stati Uniti – secondo gli studiosi dello Stanford Center on poverty and inequality – conta più il censo alla nascita che la capacità di applicarsi. Insomma fare fortuna in America sarebbe diventata un’impresa ardua.
Prima di giungere a questa inaspettata conclusione il report del centro di studi americano ha studiato il livello di povertà, le ineguaglianze, la mobilità economica e la disoccupazione in dieci Stati programmi di welfare sociale. Negli Stati Uniti la povertà è stabile al 15,3%, il tasso di disoccupazione è in calo, ma gli occupati non arrivano al 60% della popolazione. Malgrado la ripresa, quindi, non ci sono sensibili segnali di miglioramento per gli americani.
A peggiorare le cose contribuiscono principalmente le diseguaglianze retributive: l’1% degli americani più ricchi hanno il 25% degli stipendi del Paese, il livello più alto dal 1928 alla vigilia dello scoppio della grande crisi. In altri termini, non sono gli Stati Uniti non sarebbero quella macchina in grado di creare posti di lavoro che sembrano, ma pure non garantirebbero quelle opportunità che tutti sognano.
C’è di più. In questo senso anche l’Italia sarebbe un posto migliore, trovandosi all’ottavo posto nella classifica di Stanford davanti alla Spagna e agli Usa. Al vertice alle spalle del podio Finlandia, Norvegia e Australia compaiono il Canada, la Germania, la Francia e la Gran Bretagna.