Sfruttamento del lavoro, Zara cerca uscita dalla lista nera

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Vicino a prezzo, taglia, composizione e “made in”, d’ora in poi sulle etichette dei capi d’abbigliamento del brand Zara ci sarà un QR code. Esso servirà a far uscire una volta per tutte la compagnia fondata da Amancio Ortega dalla lista nera delle aziende che sfruttano i lavoratori in condizioni disumane.

In che modo? Il codice conterrà tutti i passaggi della catena di produzione: dall’origine delle materie prime sino alla confezione e alla commercializzazione. Si potrà anche verificare se il fabbricante ha rispettato il codice di condotta che Inditex si è dato in risposta alle pesanti accuse che le sono piovute addosso in tutto il mondo, soprattutto nei casi in cui la produzione, nei paesi in via di sviluppo, viene data in subappalto a piccoli laboratori che non adottano le condizioni di sicurezza e di rispetto delle norme sul lavoro.

Non a caso, il primo paese in cui il progetto pilota verrà lanciato nelle prossime settimane è proprio il Brasile: qui il gruppo Inditex è impegnato da tempo in un duro braccio di ferro anche sul fronte giudiziario con il governo di Dilma Rousseff, che ha accusato il gigante del tessile di La Coruña di aver consentito pratiche “analoghe alla schiavitù”.

La compagnia respinge i sospetti e, oltre ai ricorsi contro alcune sentenze sfavorevoli, ha anche presentato una denuncia davanti al Tribunale Supremo nei confronti dell’esecutivo di Brasilia che ha inserito la casa madre di Zara nella “lista suja”, la lista nera dei produttori che non rispettano la normativa sul lavoro. Secondo un rapporto del 2014 elaborato dalla fondazione Walk Free, ancora oggi circa 155mila persone vivono in Brasile in condizioni di schiavitù. Per questo il governo ha deciso di intensificare i controlli e di recente ha avviato l’impiego di droni per controllare le condizioni di lavoro.

 

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