Dopo un lungo contenzioso, Shell ha vinto la sfida contro gli ambientalisti e contro i divieti a perforare il fondo marino in una delle aree più pure del pianeta.
Con il via libera definitivo da parte dell’amministrazione (in particolare del Bureau of Safety and Environmental Enforcement), gli Stati Uniti hanno dato il loro nulla osta a Royal Dutch Shell per operazioni di esplorazione alla ricerca del petrolio nelle acque incontaminate dell’Alaska.
La compagnia petrolifera, che aveva già ottenuto un permesso temporaneo, può quindi riprendere la corsa al greggio dell’Artico dopo la sospensione del precedente progetto avviato nel 2012 in seguito a una serie di incidenti. Lo scorso maggio il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva autorizzato la perforazione offshore al largo dell’Alaska, suscitando dure reazioni degli ambientalisti. “Le attività condotte al largo delle coste dell’alaska rispettano alti standard di sicurezza, protezione ambientale e interventi di emergenza”, ha dichiarato brian salerno del dipartimento degli interni, che promette di “continuare a monitorare costantemente il lavoro” di Shell “per garantire la massima sicurezza e protezione ambientale”.
Shell era stata bloccata nel 2012, ottenendo un prima via libera ma sottoposto ad alcune prescrizioni. La sospensione delle attività petrolifere in quella zona venne decisa in seguito all’incidente della chiatta di perforazione Kulluk che, a Capodanno del 2013, si era arenata al largo dell’Alaska meridionale. Per gli ambientalisti i danni di una attività così invasiva potrebbero essere senza precedenti: si rischia di danneggiare l’ecosistema di balene, trichechi e orsi polari, in un ambiente che molto più di altri è sensibile alle alterazioni dei cambiamenti climatici. Ma per le compagnie petrolifere si tratta di una occasione che non si può perdere, visto che gli esperti convengono che nelle aree dell’Artico potrebbe trovarsi oltre il 20 per cento delle riserve mondiali di petrolio e di gas.