Una frode fiscale a tutti gli effetti, ma stavolta, il coinvolgimento della collaboratrice domestica è assolutamente privo di complicità. Un’indagine approfondita ha portato alla luce una situazione illecita del datore di lavoro che è stato accusato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.
► Le buste paga gonfiate sono fraudolente
Il reato di dichiarazione fraudolenta che abbiamo citato è stato ben descritto nell’articolo 3 del Dlgs numero 74 del 2000 ed è stato usato dalla Corte di Cassazione per rigettare una richiesta di riesame da parte dell’accusato, dopo che la Guardia di Finanza aveva posto sotto sequestro alcuni beni.
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Tutto nasce dal fatto che il contribuente sotto accusa aveva spostato delle consistenti somme di denaro sul conto della collaboratrice domestica arrivando a depositarvi ben 285 mila euro con una serie di causali diverse da quelle lecite. Secondo le Fiamma Gialle quelle somme erano i proventi, i frutti della sua evasione fiscale riguardo l’acquisto di prodotto farmacologici ad uso dermatologico.
La documentazione portata dall’indagato non è stata sufficiente a sedare ogni dubbio. Secondo i giudici del riesame che hanno confermato il sequestro, esistevano gli elementi sufficienti per ritenere fondata l’imputazione del pubblico ministero. Se non altro perché le somme erano ingenti.
In generale, per parlare di frode è necessario che l’imposta evasa sia superiore a 30 mila euro e l’importo degli elementi attivi sottratti alla tassazione superiore al 5 per cento degli elementi portati in dichiarazione.