In questi giorni verrà deciso il futuro della industria siderurgica italiana. Al centro della questione migliaia di posti e pezzi fondamentali dell’economia di intere regioni. Le acciaierie a rischio sono Ilva, Acciai speciali Terni ed ex Lucchini di Piombino.
Fatturati crollati, impiego degli impianti ai minimi (attorno al 60%), occupazione diminuita dell’8,1% tra il 2007 ed il 2013 (e impianti scesi da 68 a 42 negli ultimi 12 anni), con un’esplosione di cassintegrati e di scioperi: questo è un settore in crisi da anni. Il segretario della Cgil Camusso sostiene che il governo non può restare fermo pena la perdita di altri parti notevoli della nostra industria. Renzi ha detto che nelle prossime settimane sarà a Piombino, Terni e Taranto. «Noi vogliamo che la siderurgia rimanga in Italia» ha confermato il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi.
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Con il decreto competitività il governo ha garantito nuovi strumenti per combattere la crisi dell’Ilva, che è crisi ambientale principalmente ma anche crisi finanziaria dal momento che la società perde 80-90 milioni di euro al mese. Il nuovo commissario di governo, l’ex ministro Piero Gnudi, ha a disposizione la possibilità di ottenere dalle banche un prestito ponte e attingere ai fondi sequestrati ai Riva. Il suo incarico è quello di trovare un compratore per quello che rimane il più grande impianto siderurgico d’Europa con 12mila occupati. Sono stati intanto avviati colloqui col colosso franco-indiano Arcelor-Mittal.
Lo stabilimento di Piombino rimane aggrappato all’offerta vincolante presentata dal gruppo indiano Jindal, interessato però soprattutto ai laminatoi e al porto. «La consideriamo una base di partenza – ha commentato il sindaco Massimo Giuliani -. Ora ci aspettiamo qualcosa di più nel piano industriale, in attesa di capire se c’è interesse a tornare a produrre acciaio a Piombino».