Dal 2000 al 2013, l’Italia è stato il Paese europeo che ha fatto registrare la crescita economica più bassa: i dati parlano di un +20,6% rispetto al +37,3% dell’area Euro a 18. Una cifra che vede la crescita addirittura inferiore in confronto a quella della Grecia, che ha segnato +24% quale effetto della forte crescita negli anni pre crisi, che è riuscita ad attenuare in parte il crollo successivo.
I dati provengono da Svimez nelle anticipazioni del Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2015, che evidenzia come la situazione è decisamente più critica al Sud Italia, il quale cresce nel periodo in questione la metà della Grecia, del +13%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell’Europa a 28 (+53,6%).
Una situazione che Svimez descrive così:
Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente. Il divario del Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud è tornato ai livelli del secolo scorso. In particolare, in termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2014 è sceso al 63,9% del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi. Recentemente, uno studio di Confindustria aveva mostrato che il Mezzogiorno offre segnali di ripresa, dal calo della cassa integrazione al recupero dell’occupazione, ma aveva anche aggiunto che bisognerà aspettare il 2025 (assumendo per altro una crescita in linea con il resto del Paese) per recuperare i 50 miliardi di Prodotto interno dispersi negli anni della recessione.
Rimane, inoltre, un forte allarme sul fronte del lavoro: il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso almeno dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat.