Svizzera nuovamente a rischio recessione. Potrebbe essere questo il conto presentato all’economia della confederazione, venerdì prossimo, dai dati statistici: un conto salato per il brusco cambio di trend con il quale la Banca nazionale svizzera (Snb) ha deciso di slegare il cambio del franco dall’euro, a metà gennaio, con un immediato rafforzamento della moneta alpina.
Una strategia obbligata, a dire il vero, visto il costo insostenibile che aveva l’operazione di tenere in maniera artefatta il rapporto in area 1,2.
A sette mesi di distanza da quella storica decisione, e nel bel mezzo di una rinnovata crisi globale, il Paese si ritrova con l’export in declino, la manifattura impantanata e i prezzi in calo. A fotografare la situazione basta l’esempio dei produttori di orologi, che temono di vedersi erodere gran parte dei guadagni in scia al periodo di turbolenza dell’Asia, dove si trovano gran parte degli acquirenti dell’orologeria elvetica.
Come nota l’agenzia Usa Bloomberg, gli economisti prevedono che l’ultimo trimestre si sia concluso con un declino del Pil elvetico dello 0,1%: poca roba, si direbbe, ma il secondo periodo consecutivo di cali – se confermato venerdì – getterebbe ufficialmente la Svizzera nella recessione, che manca da sei anni. La pressione sull’economia viene in primis dal rafforzamento del franco (+11% contro l’euro da quel 15 gennaio, quando la Snb diede l’annuncio choc della libera fluttuazione del franco). La stessa Snb ha già pagato quasi 50 miliardi il deprezzamento delle sue riserve in valuta estera.
A supportare la Svizzera ci sono la soluzione al problema greco, che ha fatto riapprezzare l’euro del 3% dalla fine di giugno, e il calo dei prezzi delle commodity, del petrolio in particolare.