In primo luogo c’è l’intenzione di allargare il business. In secondo luogo la volontà di sfuggire alle maglie della pressione fiscale. Il gigante americano delle semenze, dell’agricoltura e della chimica Monsanto ha deciso di puntare all’acquisto della rivale svizzera Syngenta.
Questo acquisto sarebbe più che necessario al fine di mettere a fuoco la cosiddetta “inversione fiscale”, con la quale vorrebbe trasferire il domicilio del nascente gruppo nel Regno Unito sotto un nuovo nome “per riflettere la natura globale e unica” del colosso agricolo che emergerebbe dalla fusione. Una prassi che permetterebbe al neonato gruppo di sottoporsi anche a un regime fiscale meno incisivo di quello a stelle e strisce, con buona pace delle autorità Usa e dello stesso presidente Barack Obama, che ha avuto parole dure nei confronti di questa strategia fiscale. Prassi che anche in Italia è stata adottata, ad esempio, da Fca o Gtech.
A esplicare i meccanismo che si celano dietro la mossa è stato lo stesso amministratore delegato di Monsanto, Hugh Grant, al consiglio di amministrazione di Syngenta. In base alla sua struttura attuale, il takeover realizzerebbe il maggiore accordo di inversione fiscale da quando, lo scorso settembre, l’amministrazione Obama ha adottato dello misure per limitare (ma non impedire) tali transazioni. Da allora tre aziende Usa hanno siglato accordi per spostare il loro domicilio all’estero.
I dettagli dell’acquisizione sono stati rilasciati ieri da Syngenta, che nei fatti ha nuovamente rigettato l’offerta rivista di Monsanto (identica nel prezzo – 449 franchi per azione – ma che comprende un commissione da 2 miliardi di dollari da pagare nel caso in cui l’operazione salti). All’epoca dell’offerta originaria di aprile, Syngenta aveva detto che quanto messo sul piatto da Monsanto era “ampiamente inadeguato”.