Uscire dalla crisi. Non si parla d’altro. C’è chi crede che il viatico sia costituito dagli eventuali quattro miliardi spesi per l’Imu sulla prima casa che, una volta restituiti agli italiani, rappresenterebbero una strategia per tornare ai bei tempi.
Con ogni probabilità, però, non basteranno. Rappresentano anzi soltanto lo 0,5% in relazione a un bilancio Statale di 800 miliardi.
Il Pil ha fatto registrare durante lo scorso anno un crollo di 2,4 punti percentuali e le stime Ocse fanno presente un -1,8% per l’anno in corso. A ciò si aggiunga che dal 2007 il crollo della ricchezza italiana si è aggirato in media a 160 miliardi di reddito nazionale in meno.
La domanda interna è caduta in soli dodici mesi del 4%, 3 milioni di disoccupati, le aziende chiudono, la produzione industriale è calata del 25% dall’inizio della crisi e 60 miliardi di credito negato a imprese e famiglie solo nell’ultimo anno, sono una goccia nel mare.
La verità è che al fine di cambiare marcia e lasciare il baratro al quale è destinato il Paese bisognerebbe avere ben altro. Servirebbe un drastico allentamento della pressione fiscale che restituisca soldi a famiglie e imprese. Difficile prevederlo. Solo il taglio dell’enorme cuneo fiscale che grava su imprese e lavoratori, il taglio dei contributi previdenziali del 2,5%, graverebbe allo Stato di ben 16,7 miliardi.
Per avere impatti significativi il taglio dovrebbe collocarsi almeno al 5% e quindi con un costo di 33 miliardi. Una manovra che permetterebbe a un lavoratore di 50 anni con un reddito di 50mila euro lordi di avere 833 euro in più in busta paga e consentirebbe al datore di lavoro di risparmiare 1.600 euro su quel lavoratore.