Si parla in queste ore di tassa sui contanti, andando un po’ oltre quella che è una norma antiriciclaggio che vuole penalizzare chi giornalmente fa versamenti corposi di contanti non altrimenti tracciabili, sul proprio conto corrente. Una tassa, quindi, che non è ingiusta a priori (anche se ne risultano penalizzati i commercianti e privilegiate le banche) ma risulta incompleta ed ora vi spieghiamo perché.
Il Consiglio dei ministri del prossimo 20 febbraio dovrà discutere dei provvedimenti per il contrasto dell’evasione fiscale di quei contribuenti che sono abituati a fare versamenti corposi in banca, versamenti che superano i 200 euro. Importi che la normativa considera medio-alti.
Per aumentare la tracciabilità di questi soldi in circolazione è stata prevista non solo la tassa sul versamento di contanti, volgarmente detta tassa sui contanti, ma è stata prevista anche l’introduzione della fattura elettronica tra i privati.
Per contrastare l’evasione sarà quindi introdotta un’imposta per i versamenti che superano i 200 euro e che saranno fatti in banca. A questi versamenti verrà applicata un’imposta di bollo proporzionale all’entità del versamento. Alcune categorie di lavoratori, per esempio i commercianti, risultano inizialmente danneggiate dal provvedimento che, ricordiamolo, ha come obiettivo quello del contrasto dell’evasione. Una minore evasione fiscale si traduce in un minor carico fiscale per tutti, commercianti inclusi. È vero che inizialmente saranno avvantaggiate dalla normativa le banche ma complessivamente l’operazione, del valore stimato di 5 miliardi di euro, si presenta come accettabile.
L’incompletezza che denunciavamo in apertura riguarda il fatto che a fronte della tracciabilità dei contanti con una tassa sui loro versamenti, non è previsto uno sconto di questa tassa sull’imposta sui redditi. Ovvero, qualora le imposte pagate sui versamenti fossero considerate un anticipo dell’imposta sui redditi, con il conseguente sconto sulle tasse, anche i commercianti ne trarrebbero vantaggio.