Una delle novità annunciate dal premier Renzi che ha scontentato molti che si accingono ad investire è quella di aumentare l’aliquota della tassa sulle rendite finanziarie portandola dal 20 al 26%. Pur infatti allineandosi alla tassazione degli altri Paesi europei, dove l’aliquota di imposta sulle rendite finanziari è intorno al 25%, questa novità sta alzando molte proteste in un’Italia dove la paura, soprattutto delle banche, è che una maggiore tassazione porti i risparmiatori a non investire più la propria liquidità in prodotti finanziari, facendo così venir meno anche disponibilità alle banche stesse.
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Per gli investitori questo aumento potrebbe essere una vera e propria stangata, in quanto all’aliquota nuova del 26% bisogna aggiungere le mini patrimoniale del 2 per mille che è in vigore. La tassa riguarderà tutti i prodotti finanziati, da conti deposito a conti correnti, azioni, obbligazioni, ecc, ad eccezione dei Buoni fruttiferi postali e dei Bot, per cui l’aliquota resta al 12,5%. Prendendo, ad esempio, un conto deposito da 50.000 euro vincolato a un anno, con rendimento lordo del 2%, oggi un investitore paga 200 euro (20% sugli interessi) e 100 euro di mini patrimoniale (0,2% applicato al valore nominale del portafoglio a fine anno), con la nuova aliquota pagherà 260 euro sugli interessi (26%), più 100 euro, per un totale di 360 euro di tasse al posto degli attuali 300.
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Investendo 50.000 euro in obbligazioni bancarie (rendimento 3%), la tassazione di 300 euro su cedole e capital gain passerebbe a 390 euro, cui si aggiungerebbero i 100 euro di mini patrimoniale allo 0,2% e se oggi si pagano 400 euro, se ne pagherebbe 490 euro.
Investendo 50.000 euro in Borsa, oggi si pagano 500 euro su dividendi e capital gain più 100 euro di mini patrimoniale e con la riforma, si pagherebbero 650 euro più 100, per un totale di 750 euro contro i 600 attuali.