L’esigenza dello Stato di tagliare i rifornimenti agli enti locali, così da limitare la spesa pubblica, si è ribaltata con vigore sui cittadini: sulle loro spalle, i sindaci e gli altri amministratori hanno riversato l’esigenza di finanziamento.
In venti anni, dal 1995 al 2015, la pressione fiscale è passata dal 40,3% al 47%. E’ quanto denuncia l’ultima ricerca Confcommercio-Cer su finanza pubblica e tasse locali. Durante lo stesso periodo le tasse locali sono passate da 30 miliardi a 103 miliardi di euro con una crescita del 248%. Intanto le tasse centrali sono passate da 228 miliardi a 393 miliardi con una crescita pari al 72%.
Dal 2011 al 2015 – come evidenzia la ricerca – le imposte sugli immobili sono cresciute del 143% passando da 9,8 miliardi a 23,9 miliardi di euro. Grazie alla diminuzione della prima casa nel 2016 ci sarà un calo di queste imposte del 19%. Dal 2011 al 2015 la tassa dei rifiuti è cresciuta del 50%. Stando alle stime di Confcommercio nel 2016 le imposte sugli immobili e sui rifiuti cresceranno nel complesso dell’80% rispetto al 2011, passando da 15,4 miliardi a 27,8 miliardi di euro.
“Il 2016 sarà un anno difficile e di sfida, entriamo con un dato deludente del Pil dell’ultimo trimestre 2015 ma l’Italia può ancora farcela se si applicherà la ricetta per la crescita, ovvero meno spesa pubblica e meno tasse”, ha detto il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.
“Per facilitare la crescita – ha proseguito – bisogna rinunciare ad applicare la clausola di salvaguardia. Le nostre imprese non possono più pagare il conto di enti pubblici inefficienti e non vogliono subire trattamenti discriminatori sui pagamenti locali”. Sangalli ha ricordato che per una impresa con un imponibile Irap pari a 50 mila euro, la tassazione fra chi ha sede a Roma e chi ha sede a Trento può arrivare a 2.000 euro.