L’operazione Tfr in busta si rivela essere un flop. Una percentuale inferiore allo 0,1% dei lavoratori ha fatto richiesta per aver l’anticipo del trattamento di fine rapporto dilazionato con lo stipendio mensile.
Il calcolo è stato effettuato dalla Fondazione consulenti del lavoro osservando quasi un milione di posizioni ha scoperto che solo 567 dipendenti hanno chiesto all’azienda l’anticipo. La norma è entrata in vigore ad aprile.
Dallo scorso 3 aprile lavoratori dipendenti hanno ricevuto l’opportunità di chiedere la liquidazione del proprio Tfr “maturando” in busta paga fino a giugno 2018. In particolare, la liquidazione in busta paga è ammessa a partire dal mese successivo a quello di presentazione dell’istanza: ossia per le richieste di aprile a partire da maggio. Il prelievo fiscale sull’anticipo è a tassazione ordinaria e quindi è conveniente solo per le fasce più basse di reddito. Secondo i calcoli della Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro, infatti, la convenienza esiste solo per i lavoratori con un reddito fino a 15.000 euro mentre subirebbero un aggravio fiscale quelli al di sopra di questa soglia, con un aumento annuale di tasse che, per chi ha 90.000 euro di reddito, arriverebbe a 569 euro l’anno (1.895 euro in meno per il periodo marzo 2015-giugno 2018).
In totale Il Tfr dei lavoratori dipendenti vale circa 20 miliardi l’anno per i lavoratori interessati alla misura. Nella relazione tecnica della legge stabilità il governo aveva ipotizzato che a regime, la norma potesse interessare circa il 40-50% dei lavoratori destinatari dell’operazione, Confcommercio, invece, aveva già bocciato l’iniziativa spiegando che ne avrebbe fatto richieste solo un dipendente su cinque. Confesercenti, invece, stimava che solo 10% dell’anticipo sarebbe andato a alimentare i consumi.