Mancano meno di tre settimane. Poi, la Grecia deciderà il suo destino: restare o no nell’Eurozona?
E’ questa la posta in gioco delle elezioni anticipate del 25 gennaio. Se dovesse vincere Alexis Tsipras, a capo della sinistra radicale e filo-comunista di Syriza, la Troika (UE, BCE e FMI) verrebbe estromessa dal paese, il debito verso i creditori pubblici sarebbe ritrattato, le politiche di austerità rigettate e si darebbe il via a una politica economica, impostata sull’incremento delle pensioni e degli stipendi pubblici, della spesa sociale (in particolare, per la sanità), sull’assunzione di trecento mila nuovi dipendenti pubblici e sul taglio delle tasse per le famiglie meno abbienti.
Per quanto il leader quarantenne non abbia mai ritenuto che la Grecia debba uscire dall’Eurozona, è chiaro a tutti che queste proposte conducano sostanzialmente a questa azione.
Il premier Antonis Samaras fa affidamento sul popolo greco, chiarendogli che le proposte di Syriza sarebbero inattuabili e che condurrebbero il paese verso il fallimento e fuori dall’euro. Tre anni fa, questi toni funzionarono, tanto che i conservatori di Nuova Democrazia s’imposero su Syriza con il 30% contro il 27%, ottenendo la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento e governando grazie all’appoggio dei socialisti del Pasok, oggi dati quasi per morti, intorno al 3-4% dei consensi, sebbene un 6% potrebbero essere riscosso dai “secessionisti” guidati dall’ex premier socialista George Papandreou.
Attualmente, però, l’aria sembra cambiata. Sebbene dai sondaggi continui ad emergere che la stragrande maggioranza dei greci non vorrebbe tornare alla dracma, in pochi credono che la vittoria di Tsipras si traduca nell’uscita dall’euro. Paradossalmente, un aiuto involontario alla sinistra anti-Troika potrebbe essere arrivato proprio dai suoi più strenui nemici: Germania e UE. Sostengono gli esperti:
Si vocifera che i commissari europei avrebbero allo studio misure per alleggerire la montagna del debito pubblico di Atene, al 175% del pil, attraverso un allungamento delle scadenze e un taglio ulteriore degli interessi, oggi all’1,5%. In più, per un certo numero di anni, gli investimenti pubblici non sarebbero più conteggiati come deficit, consentendo al governo di allentare la tensione sui conti pubblici. Voci tutte da verificare. La Germania salirebbe sulle barricate e i mercati stessi appaiono pessimisti, tanto che iniziano a scontare seriamente il rischio default, con i tassi a 10 anni al 9,6% e quelli a 3 anni al 13,3%. La curva dei rendimenti si è invertita e ciò è un cattivo segnale. A dicembre, i bond ellenici hanno perso il 7,4% e la Borsa di Atene è crollata del 24%.