Occhi puntati sugli Usa. Dopo la pubblicazione dell’ultimo rapporto sull’occupazione, la prima economia del mondo dimostra di non essere immune alle difficoltà finanziarie che hanno caratterizzato l’estate.
I dati Usa registrano la creazione di 142mila posti di lavoro a settembre e un tasso di disoccupazione stabile pari al 5,1%. Si tratta di livelli inferiori alle attese, visto che il consensus diBloomberg era per la creazione di 201mila posti di lavoro; la dinamica dei salari è risultata piatta. Anche il dato di agosto è stato rivisto al ribasso a 136mila unità: nel complesso, sono stati tagliati 59mila posti alle rilevazioni dei due mesi estivi. Negativo pure il dato sulla partecipazione al lavoro, scivolata al 62,4% ai minimi dal 1977.
Trader e gestori cercano di capire che implicazioni può avere per le scelte di politica monetaria della Federal Reserve: ieri Jeffrey Lacker, presidente dellaFed di Richmond, ha detto che un rialzo dei tassi a ottobre è “possibile”. Resta altresì vero che la Fed potrebbe decidere indipendentemente dai numeri sul lavoro, tenendo conto delle preoccupazioni dei mercati e non perdendo di vista il rallentamento in Cina. In ogni caso, i dati odierni sostengono la linea della cautela in seno alla Banca centrale americana. “Dopo i dati di oggi, i Fed Fund Futures hanno visto schizzare le probabilità di un rialzo dei tassi a gennaio 2016 al 41% e a marzo 2016 al 52%, mentre quelle di ottobre 2015 e dicembre 2015 si sono ridotte al 2% e al 29%, rispettivamente”, commentano a caldo da Ig Markets in riferimento all’indicatore sulle possibilità di modifica della politica monetaria.
A fare paura, poi, è la data di giovedì 5 novembre, quando il governo americano esaurirà le misure straordinarie fino ad ora utilizzate per evitare di sforare il tetto al debito, il limite oltre il quale non può indebitarsi ulteriormente per finanziare le proprie attività.