L’Opec ha deciso che la produzione di petrolio non sarà tagliata. Immediata la reazione delle quotazioni del greggio, che ha fatto registrare un ulteriore calo.
Nello specifico il Brent crolla sotto quota 72 dollari al barile, mentre per il Wti si infrange la soglia di 69 dollari. D’altra parte era questo l’evento più atteso della giornata da parte dei mercati, di concerto con le indicazioni provenienti dalla Germania sulla forza dell’economia tedesca e nel giorno del Ringraziamento che blocca l’andirivieni di news dagli Usa.
Le ultime indicazioni intorno ai dodici Paesi del cartello dell’oro nero, che copre il 40% circa delle estrazioni al mondo ed ha la sua guida nell’Arabia Saudita, davano per vincente l’ipotesi di non spostarsi dall’accordo di estrazione stabilito a 30 milioni di barili al giorno.
Sia l’Arabia Saudita che l’Iran, ad esempio, pensano che il mercato si equilibrerà nuovamente da solo, mediante un opportuno livellamento dei prezzi. Il problema è che nessuno vuole tagliare la produzione, per la paura di perdere quote di mercato in corrispondenza con la crescita dell’energia Usa basata sullo shale. Di contro, gli Stati Opec cercano così di mettere fuori mercato la nascente industria a stella e strisce, portandola a livelli di prezzo insostenibili.
Il panel di venti economisti di Bloomberg era comunque divso in due circa il possibile esito del summit austriaco. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, con l’attuale livello di produzione Opec il prossimo anno si procederà verso un eccedenza di 1-1,5 milioni di barili al giorno. In un recente report, SocGen ha stimato che con la libertà di oscillazione dei prezzi si potrebbe presto arrivare a circa 65 dollari al barile per il Wti, in linea con i costi di produzione negli Usa con la tecnologia shale.