Appare necessario un accordo bilaterale con la Svizzera. Altrimenti la voluntary disclosure, normativa che agevola il rientro dei capitali tenuti all’estero, rischia di avere un successo inferiore alle attese.
Le autorità dei due Stati affermano che ci sono tutte le condizioni per arrivare a una stretta di mano, entro i due mesi che la procedura di autodenuncia fissa per definire un’intesa sullo scambio effettivo di informazioni tra l’Italia e i Paesi a fiscalità privilegiata. Tale circostanza esclude il raddoppio dei termini di accertamento e delle sanzioni sulle imposte evase, previsto per i capitali detenuti in uno Stato black list (come la Svizzera). E configura come maggiormente appetibile l’adesione alla collaborazione volontaria, approvata al Senato in via definitiva il 4 dicembre: dal momoento che è meno onerosa, sia sul piano economico che di ricostruzione documentale delle attività autodenunciate.
La condizione affinché la trattativa si chiuda entro sessanta giorni è che l’intesa sullo scambio d’informazioni tra Roma e Berna proceda su un binario diviso, stralciando le questioni legate a Campione d’Italia e alla tassazione dei frontalieri italiani:
Se così fosse, è probabile che si arrivi alla firma in tempo utile, nell’interesse di entrambi i Paesi. L’accordo è indispensabile per assicurare il successo della voluntary. Secondo stime di mercato non ufficiali, i capitali italiani depositati presso banche elvetiche ammonterebbero a circa 200/300 miliardi di euro. Di questi, si ritiene che non più del 40% debba ancora essere regolarizzato. La voluntary, dicono gli analisti, ne farà riemergere 25 o 30 miliardi e soltanto la metà verrà effettivamente rimpatriata. «La sensazione è che, nonostante il quadro internazionale sia mutato radicalmente e sia sempre più complicato e pericoloso nascondere attività finanziarie al Fisco, difficilmente chi dovrà pagare somme vicine o superiori al 40-50% degli importi non dichiarati deciderà di aderire.