Il primo commento senza troppo entusiasmo sulla revisione al rialzo del Pil Usa nel secondo trimestre, passato dal +4% della prima stima al +4,2%, è stato quello di Obama: «Resta ancora del lavoro da fare». Una prudenza che in realtà è motivata. Infatti il peso dell’evoluzione fortemente negativa avutasi tra gennaio e marzo, quando l’economia aveva era stata colpita dall’ondata di gelo polare con una contrazione del 2,1%, si fa infatti ancora sentire.
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Anche se le aziende hanno ricominciato ad avere profitti, mettendo in cassa 1.840 miliardi di dollari alla fine del mese di giugno (+6%), e nonostante l’aumento dei consumi privati del 2,5%, la crescita complessiva del prodotto lordo nel primo semestre comunica un semplice +1,05%. È un andamento ancora insufficiente per riportare per sempre in carreggiata il mercato del lavoro, dopo le continue sbandate causate dalla crisi. Sono ancora più di 9,5 milioni gli americani senza un posto di lavoro, un numero che sale a 18,8 milioni se nel conteggio vengono inclusi anche i lavori part-time e gli impieghi marginali. Il problema occupazionale è molto sentito da Janet Yellen. La presidente della Federal Reserve non aveva avuto dubbi, qualche mese fa, a togliere il target di disoccupazione al 6,5% come condizione per un futuro rialzo dei tassi. E nel summit a Jackson Hole, la Yellen aveva prima rammentato come il mercato del lavoro sia «ancora inceppato» e poi lanciato un avviso: «Il declino del tasso di disoccupazione in qualche modo sopravvaluta il miglioramento generale delle condizioni del mercato del lavoro».